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lunedì 5 dicembre 2011

Il mercante di stelle



A volte si ritorna bambini.E questa è la terra che ti permette di esserlo.
In tutte le favole c’è sempre una casa lontana nel bosco in cui si vorrebbe ritornare se si smarrisce la via. Qui, dove le fate e gli elfi dettano le regole, ti spogli di tutti quei clichè metropolitani universalmente riconosciuti, necessari ahimè,per essere codificati e capiti dagli altri. In terra di lapponia linguaggi e comportamenti si semplificano e l’ artificio non ha ragione di essere se non quello adoperato dai Sami per depistare le vendette del Dio Thor quando fende l’ aria con le sue slitte a caccia dei suoi nemici. Qui si scopre il silenzio, mi ero dimenticata questa dimensione,. Pensiamo che il silenzio sia quello delle città, della tv spenta, del vicino che non fa rumore. E invece è tutt’ altra cosa. Una volta, in autobus romano strapieno di gente, un signore stretto tra me e altre 40 persone sbottò << E poi dicono che non ci sono i contatti umani >>  Beh, avrei voluto rispondere al simpatico signore ,i contatti magari ci sono ma spesso e volentieri sono contatti di forma, di circostanza. Si urla molto e fiumi di parole fanno da corollario alla nostra giornata. Ma , noi nelle metropoli riusciamo a capire cosa è il silenzio? Difficile immaginarlo se non lo si è mai ascoltato.
Ritornare è sempre bello. Il primo impatto , il primo respiro- nel senso letterale del termine- è sempre un po’ drammatico, il vento gelido ti entra nei polmoni e provi quasi un momentaneo dolore ed il fiato si condensa in nuvolette di vapore. Ma è solo un attimo. Poi come fanno i bambini, appena riconosciuti gli odori e le sensazioni familiari cessa lo sgomento iniziale e ti senti di nuovo a casa.
I treni sono puntuali. Un po’ affollati in questo periodo ma il servizio a bordo è eccellente e i controllori- più di uno- passano spesso ad assicurarsi che tutto proceda bene. Uno, due, tre, stazioni. Non le ho contate fino a quando non si arriva ad Hamar una piccola stazione norvegese. Li, si scende per prendere un altro trenino che si perderà nella notte attraversando fiordi e casine seminascoste nella foresta. Ann Marie, la mia amica norvegese mi avverte di aspettarla dentro la stazione, farà un po’ tardi,la strada è poco agibile. La piccola stazione di Roros somiglia a quei paesaggi dei carillon che riempiono le bancarelle d Natale. L’ alberello, la stazione in legno, il grande orologio e la neve che scende. La gente pare felice. Ogni arrivo lo è.
Passa una mezz’ ora. La stazione è deserta. Il ragazzo mi guarda con l’ aria interrogativa e mi dice che da li a poco chiuderà e che potrò trovare un altro posto dove stare alla stazione di servizi aperta fino alle 24.
Ann Marie mi incontra giusto per strada mentre con i bagagli cerco d raggiungere la stazione di servizio. Ha una volvo bianca, datata, presa in prestito dai genitori. Ha un turbante bianco avvolto intorno alla testa, somiglia a quello che ti metti dopo aver lavato i capelli. E’ così dolce. Piccolina, fragile, mi ricorda campanellino delle fate di peter pan. Ma dove l’ avrà trovato mai, quel diavolo di cappello?
La strada è illuminata. Girandoti puoi vedere il campanile della chiesa di Roros che svetta in alto, su tutto. Mi ricordo la targhetta della porta della chiesa che recita “ costruita per la gloria di Dio e l’ orgoglio dei suoi abitanti”.
Passato il paese, la notte ti inghiotte, la strada perennemente ghiacciata si snoda tra valli imbiancate e una manciata di case. Sembra che non ci sia vita. Poi, d’ improvviso ti appaiono casette illuminate con il tetto carico di neve che straborda dagli angoli e termina in sottili ghiaccioli appuntiti che formando come una coroncina intorno al perimetro, rendendole ancora più magiche. Ann Marie corre sulla strada, e la macchina di tanto in tanto sbanda un po’.
Cerco di non farci caso e guardo il paesaggio illuminato dalla luna. Di tanto intanto si intravedono i riflessi degli occhi degli animali, nascosti nella foresta. Non è raro che attraversi qualche alce oppure lepri artiche, renne,tassi.
Siamo quasi al confine di stato, è deserto. Il limite di velocità è 30 km orari. Ann Marie finalmente , con mio sollievo rallenta, ne approfitto per chiedere di fermarsi ogni tanto, mi piacerebbe fotografare le casine illuminate. Persa nel mio incanto Ann marie mi racconta di aver visto la pubblicità di un libro in prossima uscita che parla del nostro Primo Ministro. > L’ hai comprato? Me lo presti? Gli ho subito detto tra il serio e il faceto. No, non ancora , mi risponde tutta seria, ma già l ho prenotato, poi ti racconto… guardai fuori dal finestrino per perdermi di nuovo in quella neve color argento.
Finalmente il cartello > ero quasi arrivata a destinazione. In lontananza si vedevano delle luci sul lago, chiesi alla mia amica se sapeva di cosa si trattava. Alzando le spalle mi fece capire di non sapere nulla e così decidemmo di fermare la macchina per andare a vedere.

Avevano allestito un piccolo fuoco. sembrava una scena vista solo nei sogni. Un ragazzino con il naso paonazzo dal freddo pescava accanto al fuoco e una coppia cantilenava una canzone accompagnata dal suono della chitarra di un giovane uomo. C’ era pure una ragazza accanto, aveva i capelli di seta. Mi hanno sempre attratto i capelli delle donne. Alla luce della fiamma sembrano tanti fili d’ oro che si intrecciavano sul suo viso, senza dargli tregua. Più in la c’ era un'altra signora che alimentava il fuoco con pezzi di corteccia di betulla. Aveva in mano un bastoncino e lo agitava come a battere il ritmo della cantilena.
La nostra presenza non li disturbò affatto e ne interruppe la loro atmosfera – poi, più tardi scoprii che erano amici della famiglia di Ann Marie, discendenti da alcuni Sami e che proprio con l’ avvicinarsi del 13 dicembre e cioè si santa Lucia celebravano l’ arrivo del giorno più corto dell’ anno e della sua santa.
I piedi mi si stavano congelando, le scarpe che indossavo non erano adatte per un posto così freddo. Erano quelle del viaggio messe su per stare comoda e la stanchezza stava prendendo il sopravvento. Ci fecero segno di sederci intorno al fuoco per un pò con una tazza di glogg, un vin brulè molto speziato.
La donna con il bastoncino si scosto un po’ dal fuoco e comincio a intonare una canzone. La chitarra smise di suonare. Sul ghiaccio prese a disegnare tante stelle. Ann marie mi spiegò che ogni stella corrispondeva ad un desiderio.

Ognuno, era chiamato ad esprimerlo e doveva sussurrarlo all’ orecchio della donna. Io ingenuamente gli dissi che non parlavo svedese come avrebbe potuto comprendere i miei sogni? Ma la signora come se avesse intuito il mio turbamento mi chiamò a sè . Io gli sussurrai qualcosa , i miei sogni erano infiniti e per un attimo le confidai tutto quanto. Quello che doveva essere qualche minuto parve trasformarsi in un tempo senza tempo.
Mentre parlavo mi ero convinta che forse capiva perché la bacchetta cominciò a disegnare tante piccole stelle. Erano i miei sogni, mi spiegarono, e quelli adesso erano ben in vista, per il cielo che li avrebbe raccolti e portati con sè nelle lunghe notti boreali... in attesa di essere esauditi.






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